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Ecco le scadenze del nuovo Btp short e del nuovo Btp a 5 anni. I tassi schizzano

Fonte: Milano Finanza

I nuovi titoli, che il Tesoro emetterà nel primo trimestre 2022, avranno scadenza, rispettivamente, il 29 novembre 2023 e 1° aprile 2027 e l’ammontare minimo è di 9 miliardi per il Btp short e di 10 miliardi per il cinque anni. Il ritorno dei dubbi sul debito italiano e la crescente incertezza sul futuro del governo spingono lo spread Btp/Bund verso 140 punti base

Nel primo trimestre del 2022 il ministero dell’Economia e delle Finanze emetterà un nuovo Btp short e un nuovo Btp a 5 anni. Nel programma trimestrale è specificato che i nuovi titoli avranno scadenza, rispettivamente, il 29 novembre 2023 e 1° aprile 2027. L’ammontare minimo, ovvero il valore che il circolante del titolo dovrà necessariamente raggiungere prima di essere sostituito da una nuova emissione sulla stessa scadenza, è di 9 miliardi per il Btp short e di 10 miliardi per il cinque anni. Inoltre, verranno riaperti i Btp gennaio e dicembre 2024, il Btp agosto 2026, tutti con cedola zero, il Btp febbraio 2029 cedola 0,45% e quello giugno 2032 cedola 0,95%.

Questa settimana il Tesoro ha stimato per il 2022 emissioni nette per 80-90 miliardi di euro (113 miliardi nel 2021). Via XX Settembre intende avere una presenza importante sulla curva in dollari, considera strategico il segmento dei green bond, tanto che di sicuro ci sarà un nuovo titolo (si valuterà la scadenza: inferiore o superiore all’attuale a 2045, probabilmente inferiore), riproporrà almeno un Btp Futura.

Quanto al Btp Italia, l’anno prossimo ci sarà una piccola size in scadenza “per cui è assai possibile che torneremo ad aprire questo strumento anche se c’è un tema di gestione di interessi reali negativi”, ha spiegato, aggiungendo che “stiamo lavorando a qualche meccanismo di aggiustamento”. Il Tesoro ha anche parlato di emissioni nette negative per i Bot a 6-12 mesi, previsto due nuovi titoli sulla linea a 7 anni e un nuovo decennale. Mentre sul tratto extra-lungo della curva, verranno probabilmente introdotti nuovi benchmark, in questo caso tramite sindacato, sulle scadenze 15, 20 e 30 anni.

Stamani il differenziale di rendimento tra il decennale benchmark italiano e il pari scadenza tedesco sale a quota 137,56 punti base con il rendimento del Btp decennale in aumento all’1,112%, sul massimo da circa quattro settimane, complici il ritorno dei dubbi sul debito italiano mentre la Bce riduce lo stimolo e la crescente incertezza sul futuro del governo, con i segnali di disponibilità per il Quirinale giunti dal premier, Mario Draghi. Quest’anno il costo medio dello stock del debito si è attestato attorno al 2,4%, in linea con il valore dell’anno precedente, ed è visto in calo l’anno prossimo. E la vita media del debito si è allungata ancora quest’anno arrivando a circa 7,12 anni, al netto dei fondi Ue, rispetto a 6,95 del 2020.

La Bce potrebbe alzare i tassi di interesse alla fine del prossimo anno e chiedere di concludere l’acquisto di bond segnalerebbe in maniera forte l’arrivo del rialzo nei prossimi due trimestri, come ha detto ieri il membro del board, Robert Holzmann, alimentando i timori di una svolta hawkish dell’Eurotower. E proprio sull’alto debito ieri è intervenuto il premier, Mario Draghi, dicendo che la via d’uscita è la crescita, sostenibile, equa e forte, “barometro dei mercati”. 

A seguito del prevedibile aumento dei tassi, l’Italia potrebbe essere di nuovo alle prese con lo spettro del debito, salito a oltre il 150% del pil. Gli acquisti della Bce per 250 miliardi di euro in titoli di Stato italiani nell’ambito del programma di emergenza Pepp hanno messo un limite all’aumento dei costi di finanziamento, ma la conclusione del Pepp ha riacceso la paura sull’Italia che ha un problema cronico di crescita e potrebbe destabilizzare l’intero blocco dei paesi Ue.

“I giudizi degli investitori, soprattutto esteri, sull’Italia dipenderanno dalla capacità di fare buon uso degli oltre 200 miliardi di euro del programma NextGenEU, messi a disposizione del nostro Paese a patto che Roma continui a rispettare le condizioni poste da Bruxelles”, ha sottolineato Antonio Tognoli di Integrae Sim secondo il quale tra i problemi dell’Italia che ne hanno frenato la crescita negli ultimi 20 anni, spiccano il basso tasso di occupazione, la produttività stagnante, la carenza di investimenti in istruzione e tecnologia, una burocrazia soffocante e il divario tra Nord e Sud. “Come pensiamo di ripagare i debiti? Con la crescita, certo, ma potrebbe non bastare”, ha osservato Tognoli.

Diverse sono state nel tempo le proposte per ridurre questa palla a piede. “Una in particolare, credo sia d’attualità ed è stata formulata da Paolo Savona e Michele Fratianni”, ha ricordato Tognoli, spiegando che il progetto si ricollega in parte al cosiddetto Chicago Plan, elaborato in Nord America all’inizio della grande crisi da economisti come H. Simons (1933) e da I. Fisher (1935). La proposta, oltre al rapporto debito/pil, si proponeva anche di risolvere due altri gravi problemi: quello della difesa del risparmio privato (che la Costituzione, dice che deve essere tutelato dallo stato) e quello delle banche che custodiscono il risparmio, ma che non possono completamente garantirlo.

Secondo il progetto di Fratianni e Savona, i risparmiatori in cerca della massima garanzia e tutela dei loro soldi, sposterebbero su basi volontarie i loro depositi (in particolare quelli utilizzati come mezzo di pagamento formalmente garantiti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, cioè quelli fino ad un massimo di 100 mila euro) presso una nuova istituzione statale, la Banca-Moneta. Quest’ultima custodirebbe i depositi in maniera completamente sicura grazie alla loro copertura integrale e al loro inserimento nella catena telematica blockchain attivabile da parte dei titolari per effettuare pagamenti con un click del telefonino o con il mouse del computer.

La banca-moneta finanzia con i depositi garantibili gli acquisti di titoli di Stato. La banca-moneta diventa un acquirente fisso di debito pubblico. Nel tempo lo stock di debito detenuto dalla banca-moneta cresce in virtù del fatto che la domanda di moneta è sensibile al reddito. Il debito pubblico diventa meno pesante per l’economia perché lo stock di debito detenuto dalla banca-moneta non è sensibile al tasso di interesse, in virtù della caratteristica di cliente fisso. In sintesi e contabilmente, il debito non diminuisce ma la proposta ha come beneficio collaterale un’importante riduzione della componente “interest-rate sensitive” del debito pubblico.

Quale sarebbe in conclusione il risultato di questa operazione? Secondo le stime di Fratianni e Savona, ha proseguito Tognoli, qualora l’intera massa di depositi garantibili si spostasse sulla banca-moneta – processo questo molto probabile perché i risparmi sarebbero così perfettamente tutelati e i depositi meno costosi – la quota di debito pubblico negoziata sul mercato finanziario, e quindi soggetto alle incertezze e alle speculazioni caratteristiche di questo mercato, si ridurrebbe di circa 800/1000 miliardi, riducendo quindi nel contempo il rapporto con il pil. “Questo progetto sfrutta il fatto che la ricchezza del paese è circa sei volte il pil e che i mezzi di pagamento ne sono parte integrante. Quindi, è possibile garantire il debito grazie alla notevole somma costituita dai depositi bancari. Ma non solo: secondo i proponenti, i risparmiatori sarebbero i maggiori beneficiari e anche le banche e l’economia reale godrebbero di alcuni importanti benefici”, ha concluso Tognoli.


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